venerdì 28 marzo 2014

Al posto del pap-test


Si chiama test Hpv e promette di ridurre del 60-70% il rischio d'ammalarsi di tumore al collo dell'utero. L'hanno reso noto i tecnici della Food and Drug Administration americana, dopo avere visionato numerosi studi, fra cui quelli effettuati presso il Centro Prevenzione Oncologica delle Molinette di Torino. La malattia che provoca ogni anno mille vittime solo in Italia, viene di norma prevenuta con il pap-test, che verrà gradualmente sostituito dal nuovo trovato della medicina. Di cosa si tratta? E' un esame che mira a prelevare una piccola quantità di cellule dal collo dell'utero per poi verificare l'eventuale presenza di Dna del Papillomavirus, responsabile della patologia. Ci si avvale di sonde molecolari predisposte per evidenziare particolari infezioni cellulari, individuando le varianti del virus e la relativa pericolosità oncogena. Pochi minuti e il test è risolto, senza dover patire alcun dolore. «Fa piacere pensare che anche gli americani abbiano deciso di adottare una raccomandazione simile a quella italiana, che prevede l'esclusivo impiego del test Hpv, ricorrendo al tradizionale pap-test solo se si individua il virus», ci racconta Guglielmo Ronco, epidemiologo presso il Centro di Prevenzione Oncologica della Città della Salute e delle Scienze di Torino. «E ci rende ancora più orgogliosi sapere che, in Italia, queste indicazioni si stanno già mettendo in pratica in diverse regioni, come il Piemonte, dove entro quattro anni dovremmo riuscire a coinvolgere tutte le donne». La fine (e quindi l'inizio) di un'epoca? Forse, ma è più probabile che i due test si faranno compagnia per un po’, considerato che laddove non arriverà uno, potrà giungere l'altro (anche perché il pap-test può mettere in luce l'attività patogena di altri organismi, come i funghi, per cui l'avveniristico e super specializzato test non è tarato). Del resto è sempre stato così, tranne i rari casi in cui si è avuto a che fare con prodotti "farmaceutici" che poi la scienza ha giudicato assolutamente nocivi per la salute; come nel caso delle creme radioattive o bibite a base di soda atomica, che venivano somministrate come caramelle alle vitamine, procurando danni irreversibili. Diversa la situazione riguardante l'elettroshock, controversa pratica medica basata sull'applicazione a livello cerebrale di una corrente elettrica. Sperimentato per anni, a partire dagli anni Trenta, negli ultimi decenni è riservato solo ai casi più gravi di depressione, quando non si riescono a ottenere risultati apprezzabili con i farmaci tradizionali. Completamente abbandonata, invece, la lobotomia, con la recisione delle connessioni nervose situate nella corteccia prefrontale. Lo scopo era curare mali come la schizofrenia e il disturbo bipolare: gli ultimi interventi sono stati effettuati in Francia e Inghilterra a metà degli anni Ottanta. E' stata sostituita da tecniche molto meno invasive ed eticamente "corrette". Sul fronte farmaci hanno subito un grosso ridimensionamento i barbiturici, che possono provocare coma e perdita di coscienza a dosi vicine a quelle terapeutiche. Il loro posto è stato preso dalle benzodiazepine, molto più tollerabili. Si continuano, però, a eseguire i salassi, benché la loro inefficacia sia stata confermata su più fronti. Tuttavia patologie legate al sangue come l'emocromatosi o e la policitemia si avvalgono ancora di questa tecnica, così come veniva effettuata in passato per curare, per esempio, l'ipertensione (che oggi viene tranquillamente tenuta a bada da medicinali come i sartani o gli ace-inibitori). Con gli antibiotici, infine, è sparita completamente la proposta di curare molte malattie con la cosiddetta "terapia fagica". Consinteva nell'utilizzo di virus particolari in grado di attaccare e annullare l'azione batterica. Solo negli ultimi anni sta tornando alla ribalta delle cronache, per via dell'ipotesi di poterla riutilizzare nei casi sempre più frequenti di resistenza agli antibiotici. 

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