Era nell'aria da
tempo. Ma solo ora ne abbiamo la conferma: gli antibiotici non sono più la
soluzione ideale per fronteggiare le malattie. Stando infatti a una ricerca
diffusa dalla rivista dell'American Society for Microbiology esiste un batterio
che è ufficialmente in grado di resistere anche all'antibiotico più potente. E'
stato individuato nelle urine di una quarantenne americana (che, grazie a un
po' di fortuna, è stata salvata): si tratta di un ceppo riconducibile all'Escherichia
coli, microrganismo assai noto all'uomo del quale ci si serve anche per
condurre esperimenti scientifici. Ma la nuova ricerca mette giustamente in
allarme: dall'invenzione della penicillina è la prima volta che si ha a che
fare con batteri così potenti, che rimangono indifferenti agli antibiotici più
efficaci, compresa la colistina.
Si tratta di un
preparato farmacologico ottenuto dal Bacillus polymyxa. E' stato sintetizzato
molti anni fa ed è un caduto in disuso per le gravi ripercussioni a livello
renale; tuttavia rimane l'ultima spiaggia per cercare di debellare patologie
incurabili con gli altri sistemi in commercio. Come quella provocata dallo
Pseudomonas aeruginosa di cui non si sa molto, ma si è ben al corrente del
fatto che, per esempio in Usa, causa annualmente molti decessi. Gli scienziati
hanno individuato il gene della resistenza, battezzato mcr-1. E ora si pensa a
come contrastarlo, anche in previsione di un'ipotetica epidemia; che potrebbe
investire gli ospedali se non si riesce a capire al più presto le sue dinamiche
biologiche. E' stato analizzato per la prima volta in Cina e anche in Italia
gli scienziati lo conoscono, benché in rapporto a batteri meno pericolosi.
Da noi accade
qualcosa di simile con la klebsiella, altro microrganismo che ha già dimostrato
di poter resistere all'azione della colistina. Di pochi mesi fa la notizia
secondo la quale diciannove persone decedute fra il 2013 e il 2014 in Puglia
potrebbero essere state vittime di questo microbo. E' molto difficile da
gestire, perché se da una parte sa convivere pacificamente con l'uomo,
dall'altra, all'interno di un fisico già compromesso dalla vecchiaia o da
qualche acciacco, può trasformarsi in un pericoloso assassino; invadendo aree
anatomiche che di solito risparmia e innescando processi setticemici
irreversibili. La situazione italiana, peraltro, parafrasa perfettamente quella
americana, al punto che c'è chi pensa di essere tornati a una sorta di era
pre-Fleming. In Inghilterra i casi d'infezione mortale negli anni Novanta erano
un centinaio, dal 2005 si superano i duemila decessi. In tutta l'Europa si
arriva a 40mila morti. Di questo passo nel 2015 ogni tre secondi ci sarà un
decesso causato da un batterio ultraresistente. E c'è la preoccupazione che un
domani anche interventi chirurgici di routine possano creare i presupposti per
lo scoppio di un'invasione batterica. Lo dice anche la World Health
Organization che addirittura parla di "apocalisse antibiotici". Di
fatto la percentuale di batteri che se ne infischia di un numero sempre più
alto di antibiotici sta crescendo di anno in anno. Soluzioni? Poche.Gli scienziati
brancolano nel buio. Gli antibiotici hanno rivoluzionato il mondo, ma pensare
che possa oggi esserci qualcosa che funzioni allo stesso modo, ma di tutt'altra
natura, rischia di essere un'utopia. Per cui si continua sulla stessa strada.
Come sta accadendo in America con il progetto 10 x 20. Lo scopo è arrivare a
produrre entro il 2020, dieci sostanze di nuova generazione in grado di vincere
anche il microbo più ostile. D'altra parte è anche colpa nostra se le cose vanno
così. L'utilizzo spregiudicato degli antibiotici ha, infatti, portato molti
batteri a farsi furbi e a riprodursi in modo strategico: così si formano
colonie programmate geneticamente per sopravvivere a tutto.
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