Fece
a dir poco scalpore la sua scoperta nel lontano settembre del 1991, ai piedi
del ghiacciaio del Similaun, al confine fra Italia e Austria. Ma le sorprese,
in realtà, non sono ancora finite, perché non passa mese senza che qualche nuovo
studio dia ulteriori informazioni sulle caratteristiche di Otzi, il cosiddetto
"uomo venuto dal ghiaccio", vissuto in piena età del Rame, fra il 3.300
e il 3.100 a.C.. L'ultimo interessante ragguaglio in merito alla vicenda umana
dell'antico abitatore della Val Venosta, giunge da un team di ricercatori
austriaci, che ha evidenziato che esistono almeno 19 persone geneticamente
riconducibili a Otzi. Gli esperti di medicina legale al lavoro presso la
Innsbruck Medical University hanno analizzato il sangue proveniente da 3.700
donatori, verificando la curiosa analogia: «Abbiamo constatato che 19 persone hanno
lo stesso antenato che aveva la mummia del Similaun», spiega Walther Parson, a
capo dello studio. «Significa che da un ceppo antropologico risalente a 10mila
anni fa, hanno avuto origine sia l'Uomo dei ghiacci che i pochi tirolesi che
abbiamo selezionato».
Come
è stato possibile giungere a questa conclusione? Grazie allo studio degli
aplogruppi, (insieme di aplotipi, vale a dire combinazioni di varianti
alleliche in un cromosoma) che permette di studiare le caratteristiche
genetiche dei contemporanei e metterle in relazione con chi ci ha preceduto. L'aplogruppo
H o T, per esempio, rimanda agli euroasiatici occidentali; l'A o il B, ai
nativi americani. Per lo studio di Otzi, in particolare, ci si è avvalsi della
trasmissione ereditaria "comandata" dal cromosoma Y, per giungere
all'aplogruppo G, presente in antiche popolazioni provenienti dal medio-oriente,
e identificato anche nei moderni "cugini" tirolesi. Non è la prima
volta che gli studi di genetica offrono interessanti conclusioni sulla
rocambolesca esistenza dell'Uomo venuto dai ghiacci. Di poche settimane fa è
anche la scoperta della presenza di Dna non umano sulla mummia rinvenuta fra le
Alpi Retiche. Si tratta del Dna di un batterio, il Treponema denticola.
E' stato isolato da scienziati dell'Eurac (Accademia Europea di Bolzano), in collaborazione con ricercatori dell'Università di Vienna, da un piccolissimo frammento recuperato dall'osso pelvico della mummia. Gli esperti hanno concluso che Otzi soffriva di paradentosi (un'infiammazione cronica delle gengive), confermando le supposizioni avanzate un anno fa, quando la tac mise in luce una condizione dentaria compromessa. Sicché è oggi possibile stilare un quadro complessivo dello stato di saluto della mummia, tutt'altro che ottimale. Otzi, infatti, soffriva di numerosi acciacchi, comprendenti artrite, intolleranza al lattosio, arteriosclerosi, borreliosi (malattia provocata da un batterio veicolato dalle zecche). Benché la sua fine non coincise con il peggioramento improvviso di uno di questi mali, ma con una punta di selce scagliata da qualche nemico, che si conficcò nella sua spalla sinistra, facendolo, in pochi minuti, morire dissanguato.
E' stato isolato da scienziati dell'Eurac (Accademia Europea di Bolzano), in collaborazione con ricercatori dell'Università di Vienna, da un piccolissimo frammento recuperato dall'osso pelvico della mummia. Gli esperti hanno concluso che Otzi soffriva di paradentosi (un'infiammazione cronica delle gengive), confermando le supposizioni avanzate un anno fa, quando la tac mise in luce una condizione dentaria compromessa. Sicché è oggi possibile stilare un quadro complessivo dello stato di saluto della mummia, tutt'altro che ottimale. Otzi, infatti, soffriva di numerosi acciacchi, comprendenti artrite, intolleranza al lattosio, arteriosclerosi, borreliosi (malattia provocata da un batterio veicolato dalle zecche). Benché la sua fine non coincise con il peggioramento improvviso di uno di questi mali, ma con una punta di selce scagliata da qualche nemico, che si conficcò nella sua spalla sinistra, facendolo, in pochi minuti, morire dissanguato.
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