E' un processo che va avanti da
millenni: lo spostamento verso nord del corso del Po. L'11 novembre 1570 fu la
data che spinse la foce del fiume quaranta chilometri più in là, raggiungendo i
confini di Chioggia e del veneziano. Complice un terremoto di magnitudo 5,4 che
sconvolse il ferrarese e che oggi scopriamo essere legato agli eventi sismici
del 20 e 29 maggio 2012, avvenuti in Emilia. Le scosse di cinque anni fa determinarono
un sollevamento di dodici centimetri dell'area epicentrale, e un abbassamento
del suolo di un paio di centimetri nella vicina zona di Finale Emilia. L'11
novembre del 1570, analogamente, il terremoto causò un innalzamento di quindici
centimetri del livello del terreno, e con esso il più importante fiume italiano
cambiò per sempre faccia. Fino alla metà del Cinquecento gran parte delle acque
provenienti dal Monviso sfociavano dalle parti del porto etrusco di Spina, a
nord di Marina di Ravenna. Un piccolo ramo, invece, si dirigeva verso il
settentrione, sciogliendosi nelle acque di Venezia. Risaliva al XII secolo e fu
tale in seguito alla Rotta di Ficarolo, gigantesca alluvione che si protrasse
per anni, allagando molte aree della pianura padana.
Nel 1570, l'ultimo tratto del
fiume, sposò il nuovo alveo, abbandonando definitivamente il ferrarese e i
meandri dell'antica foce. La città subì gravi perdite economiche. Non fu più centro
portuale e le merci in transito fra l'Adriatico e l'entroterra padano trovarono
altre strade. Ancora oggi è possibile risalire alle origini del vecchio Po. Il paleoalveo
dei Barchessoni indica che lì in tempo passava il fiume. Siamo nel comune di
Mirandola, in provincia di Modena, dove sono riconoscibili spianate terrose di
colore più chiaro (gli antichi argini) rispetto a quelle adiacenti più scure
(il vecchio letto del fiume). Il fenomeno è ben visibile con una ricognizione
aerea a una decina di chilometri più a sud dell'attuale corso fluviale. I resti
dei vecchi tracciati del fiume sono riconoscibili anche in altre località:
Viadana, Sabbioneta, Poviglio.
Gli archivi ci raccontano che il
terremoto del 1570 causò parecchi danni; e almeno il 40% degli edifici del
ferrarese non resistette alle scosse. Per la popolazione fu la giusta punizione
divina per un territorio mal governato dagli estensi. Ma alla fine le colpe
ricaddero perlopiù sugli ebrei. I marrani erano ebrei sefarditi in fuga dalla
penisola iberica, dove il cattolicesimo si era messo a dargli la caccia. Era
nell'aria: nel 1556 venticinque marrani erano stati arsi vivi in piazza ad
Ancona. Erano mal visti da tempo e con il terremoto fu chiaro a tutti che
fossero loro i veri colpevoli del disastro ambientale. Comunque una storia
relativamente recente. Altri studi sono riusciti a ricostruire il corso del
grande fiume italico dal calabriano (piano geologico del Pleistocene iniziato
oltre un milione di anni fa) a oggi; puntualizzando soprattutto sull'ultimo
glaciale, il wurmiano, fra centomila e diecimila anni fa. Il livello dei mari
era inferiore all'attuale di centodieci metri. E il Po percorreva un tratto più
lungo: da Piacenza scivolava verso Mirandola, Molinello e Cervia.
La stessa
situazione s'instaurò durante le glaciazioni succedutesi da 800mila anni a
questa parte. Poi le cose cambiarono con l'arrivo dell'uomo; che ha progressivamente
inciso sul suo corso, con opere di rafforzamento degli argini, che in certe
aree geografiche raggiungono vari metri di altezza. Di fatto le alluvioni del
Po erano frequentissime e devastanti. I dati storici rimandano la prima
alluvione ufficiale al 204 a.C.. Da allora sono stati contati quasi
centocinquanta fenomeni distruttivi. Nel 589 si ebbe la Rotta della Cucca, una
piena che portò a una modifica importante dell'idrografia di tutta la pianura
padano-veneta. Nel 1330 un'alluvione nel Polesine e nel mantovano causò 10mila
vittime. L'ultimo evento importante si è verificato nel 2000. A ottobre si ebbe
la seconda piena più importante del ventesimo secolo: ci furono ventitré morti,
undici dispersi e 40mila sfollati.
Il contesto geotettonico riguarda,
dunque, una zona particolarmente suscettibile agli eventi tellurici. Si sa,
infatti, che fra il ferrarese e il mantovano si sono verificati terremoti
disastrosi nel 1356, 1561, 1761. Gli studi condotti da esperti dell'Istituto nazionale
di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS) di Trieste hanno evidenziato
che le faglie coinvolte nel 2012 e quella del 1570 sono allineate e che ancora
oggi potrebbero essere interessate da fenomeni tettonici. Quella più antica si
trova sepolta da strati di depositi alluvionali a una quindicina di chilometri
a nord di Ferrara. E da sempre è coinvolta nei movimenti che riguardano il
progressivo innalzamento degli Appennini; che concerne anche gli ultimi
fenomeni sismici verificatesi in centro Italia nel 2016, coinvolgendo la Valle
del Tronto, i Monti Sibillini e i Monti della Laga. Alla base c'è la sempiterna
spinta della placca africana, su quella euroasiatica. Le ultime analisi
condotte dal Rinus Wortel, geofisico dell'Università di Utrecht, in Olanda,
asseriscono che è in corso un processo di subduzione che sta portando il nostro
continente a "scivolare" sotto quello africano: strategia che
consente al pianeta di "riciclare" la crosta terrestre,
contemporaneamente all'azione delle dorsali oceaniche che producono nuovi
strati litologici.
La lezione di Mario
Soldati
Cibo, natura e letteratura; così può
essere riassunto il succo del lavoro svolto da Mario Soldati nel 1957. Lo
scrittore italiano inventò il primo reportage enogastronomico, muovendosi dalle
sorgenti del fiume più lungo d'Italia, alla foce. "Alla ricerca dei cibi
genuini; viaggio nella valle del Po" andò in onda dal 3 dicembre sulla
Rai, con le musiche di Nino Rota. Ora l'avventura sta per essere intrapresa di
nuovo da un gruppo di giovani ferraresi, fra giornalisti, fotografi e
cineoperatori. Partiranno dalla foce del fiume il 25 aprile 2017 e per due
settimane studieranno il suo corso, soffermandosi sui cambiamenti avvenuti
negli ultimi sessanta anni e intervistando i tanti italiani che vivono lungo le
sue sponde.
Il nuovo parco
Il primo tratto sperimentale del
Parco Fluviale del Po è stato inaugurato. Per chi desidera scoprire alcuni fra
gli angoli più belli del fiume, potrà da oggi scegliere fra percorsi pedonali,
strade ciclabili, aule didattiche, aree di picnic, e porticcioli per le canoe.
I percorsi attrezzati permettono di osservare il Po da ovest a est,
inoltrandosi nel Bosco della Lite e nel Bosco delle Fate o seguendo il sentiero
dell'Upupa; il tutto in corrispondenza dei comuni di Villanova sull'Arda,
Polesine-Zibello e Roccabianca. Il parco sperimentale è frutto del lavoro
condotto dal Gruppo Unipol e da Legambiente, che mira al recupero delle aree
degradate del nostro Paese. «Crediamo nella capacità dei territori di tutelare
e di produrre bellezza», dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di
Legambiente, «di costruire processi di qualità che migliorano quanto di meglio
c'è in Italia».
La pantera del Po
Un fossile trovato da un pensionato e consegnato al Museo paleoantropologico di San Daniele Po, consente di stimare la realtà ambientale dell'antica valle Padana. Un osso lungo una ventina di centimetri, e Renato Bandera, che da anni scandaglia con la sua canoa il grande fiume, pensa ai macabri resti di un uomo. Poi la sorpresa. Un paleontologo dell'Università di Parma intuisce che possa essere ricondotto allo scheletro di un felino; e ne ha conferma confrontandosi con Martin Sabol, dell'Università di Bratislava. La rivista Quaternary International svela infine l'arcano il mistero: sono i resti di un esemplare di Panthera pardus, un leopardo che viveva in Pianura Padana 200mila anni fa. All'epoca, infatti, il territorio bagnato dalle acque del fiume, era simile a una savana africana, ed era abitato da ippopotami, elefanti, rinoceronti e appunto… feroci pantere.
Un fossile trovato da un pensionato e consegnato al Museo paleoantropologico di San Daniele Po, consente di stimare la realtà ambientale dell'antica valle Padana. Un osso lungo una ventina di centimetri, e Renato Bandera, che da anni scandaglia con la sua canoa il grande fiume, pensa ai macabri resti di un uomo. Poi la sorpresa. Un paleontologo dell'Università di Parma intuisce che possa essere ricondotto allo scheletro di un felino; e ne ha conferma confrontandosi con Martin Sabol, dell'Università di Bratislava. La rivista Quaternary International svela infine l'arcano il mistero: sono i resti di un esemplare di Panthera pardus, un leopardo che viveva in Pianura Padana 200mila anni fa. All'epoca, infatti, il territorio bagnato dalle acque del fiume, era simile a una savana africana, ed era abitato da ippopotami, elefanti, rinoceronti e appunto… feroci pantere.
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