Due giorni fa l'incontro ufficiale fra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. E la decisione del premier italiano: entro il 2013 partiranno i lavori in Italia per la prima centrale nucleare. La prossima mossa? Sensibilizzare l'opinione pubblica all'importanza delle centrali nucleari. Le statistiche, infatti, dicono che non tutti gli italiani sono a favore di questa forma di energia. Il 54% degli abitanti dello Stivale ritiene indispensabili le centrali, ma nessuno le vuole nella propria provincia. Le centrali nucleari fanno paura. Non tanto per il potenziale pericolo di incidenti con rilascio di immani quantità radioattive, bensì per la consapevolezza che le aree geografiche a ridosso dei reattori, sono quelle dove la percentuale di incidenza di determinate patologie è più alta che altrove. Lo attesterebbero alcuni studi condotti in Gran Bretagna negli ultimi anni. Mentre la rivista scientifica Environmental Heatlh, sulla base di uno studio condotto in Germania, dice che le bassissime dosi di radiazioni riscontrabili nei pressi di una centrale, potrebbero essere innocue per gli adulti, ma non per i neonati e per i feti in via di sviluppo nel grembo materno. Sotto la lente degli esperti l'ipotesi che i radionuclidi (gas nobili come kripton, argon, xeno) liberati nell'aria insieme al vapore acqueo dalle centrali, entrino a far parte della catena alimentare, contaminando tutto e tutti (per migliaia di anni). Anche fra i politici regna un certo disappunto. Pochi concordano con Berlusconi. Renata Polverini, per esempio, sostiene che il "nucleare nessuno lo vuole", alludendo a se stessa e a Roberto Formigoni. Totalmente contrari gli esponenti di centro-sinistra. In prima linea per il no al nucleare ci sono i presidenti della Puglia Nichi Vendola e della Sardegna Ugo Cappellacci. "In Sardegna non c'è spazio per le centrali nucleari", rivela Cappellacci. "Dovranno passare sul mio corpo prima di fare una cosa simile". Si pensa, in ogni caso, alla realizzazione di quattro reattori nucleari che dovrebbero essere costruiti secondo gli accordi del vertice bilaterale dalla joint venture italo-francese. In ballo (inevitabilmente) cifre da capogiro. In 10-15 anni dovrebbero essere spesi 30miliardi di euro. I dati sono stati forniti da Confindustria. Ma dove potrebbero sorgere le nuove centrali nucleari? Ci sono vari comuni in lizza, che riceverebbero bonus economici ragguardevoli. In tutto ci sarebbero da smistare 10milioni di euro. Tra i centri potenzialmente interessati a ospitare una centrale sul proprio territorio ci sono Caorso, Trino Vercellese, Monfalcone, Chioggia, Mola di Bari, Termoli, Oristano, Borgo Sabotino, Garigliano, Palma e Scansano Jonico. L'idea è quella di privilegiare le zone marittime dove sarebbe più semplice sfruttare grosse quantità d'acqua per raffreddare i reattori. 2.596.792 sono i metri cubi di acqua che occorrono ogni giorno per raffreddare un reattore nucleare che produce 1000 MegaWatt. Secondo un'equazione elaborata dall'Union of Concerned Scientists degli Stati Uniti, si tratta di 30.05 metri cubi di acqua al secondo, corrispondenti a un terzo della portata del Po a Torino. Con ciò non stupisce sapere che in Francia il 40% di tutta l'acqua consumata viene utilizzata per il funzionamento delle centrali nucleari.
La storia del nucleare in Italia risale al dopoguerra, quando, nel 1955, all'indomani della conferenza "Atomi per la pace", venne dato il via alla realizzazione di tre impianti nucleari basati sull'azione dei reattori di tipo BWR e PWR di origine statunitense e di tipo Magnox di origine britannica. Il primo centro nucleare sorge a Latina nel 1963. Nel giro di due anni ne nascono altri due: Sessa Aurunca e Trino. Nel 1996 l'Italia è al terzo posto, dopo Usa e Gran Bretagna, fra i paesi in grado di ottenere il più alto quantitativo di energia elettrica da una fonte nucleare. Nel 1970 a Caorso viene inaugurata la quarta centrale nucleare. La situazione si mantiene stabile fino al 1986, anno in cui l'esplosione del reattore di Chernobyl manda in tilt ogni proposito di affidarsi all'energia nucleare. Con il referendum del 1987 viene dato l'addio alle centrali nucleari. Troppi rischi. L'opinione pubblica è in defaillance. Ufficializzano la chiusura delle centrali, tra il 1988 e il 1990, i Governi Goria, De Mita e Andreotti VI. Dagli anni Novanta la mancanza di energia prodotta dal nucleare viene, dunque, compensata dall'aumento dell'utilizzo dei combustibili fossili e dall'incremento delle importazioni di "energia" da altri paesi. Si ritorna a parlare di nucleare nel 2005.
La patata bollente viene affidata al ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, che propone di costruire dieci nuovi reattori, in modo da coprire il 25% del fabbisogno energetico del Belpaese. Secondo Scajola associando questo 25% al 25% verosimilmente ottenibile da altre fonti rinnovabili, si arriverebbe a fare a meno del 50% dell'energia ricavata dallo sfruttamento dei combustibili fossili che determinano gravi ripercussioni ambientali, sono esauribili, e predispongono ad attriti geopolitici fra le nazioni. Giustifica così la sua presa di posizione: "L'Italia è l'unico fra i paesi del G8 che non usa l'energia nucleare nella produzione di elettricità". E per ciò che riguarda le proteste degli ambientalisti dice che "questa forma di energia può considerarsi a giusto titolo parte integrante dell'economia verde, assicurando la riduzione delle emissioni di gas serra". In questo momento, nel mondo, lo sfruttamento dell'energia nucleare consta dell'attività costante di 436 reattori pari a 370,407 GW. Certo, molte cose sono cambiate rispetto al dopoguerra. Le centrali di oggi sono molto più efficienti e sicure delle prime. Oggi, in particolare, si sente sempre più spesso parlare di "nucleare di nuova generazione". A cosa si allude? A centrali nucleari che, in realtà, non vedranno la luce prima del 2030. Sono rappresentate da un gruppo di sei famiglie, che si differenziano dai vecchi reattori per i costi, le materie prime utilizzate per il loro funzionamento, la maggiore capacità di smaltimento delle scorie radioattive. Fra i cosiddetti reattori "Very-High Temperature Reactor (VHTR)" possiamo, per esempio, citare il rettore nucleare ad acqua supercritica (SCWR): viene detta "critica" la temperatura al di sopra della quale una sostanza non può esistere allo stato liquido. Opera a circa 374 gradi centigradi e a pressioni di 22,1 MPa. Tra i reattori "Veloci Autofertilizzanti (fast-breeders)" possiamo, invece, ricordare i Gas-Cooled Fast Reactor (GFR), reattori nucleari a neutroni veloci refrigerati a gas: il reattore è raffreddato a elio con una temperatura pari a 850 gradi centigradi. In tutti i casi, comunque, i reattori nucleari si basano sul cosiddetto processo della fissione nucleare. Con essa il nucleo di uranio 235, plutonio 239 (fra gli elementi più pesanti della tavola periodica) vengono bombardati con neutroni o altre particelle producendo energia. La prima rudimentale fissione nucleare risale al 22 ottobre 1934. Protagonisti furono gli italianissimi "ragazzi di via Panisperma", guidati da Enrico Fermi.
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Berlusconi annuncia il ritorno nucleare in Italia. Cosa ne pensano gli studenti? Il servizio di UniromaTv:
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