Belli, grossi, colorati, privi di ammaccature. Sono i frutti e gli ortaggi che siamo soliti acquistare al mercato o in qualche centro commerciale, dimenticando però un aspetto importate: la "bellezza" esteriore di frutta e verdura è quasi sempre inversamente proporzionale al loro livello nutrizionale. Degli scienziati dell’Università del Texas, ad Austin, hanno, infatti, analizzato i dati chimici raccolti dal 1950 al 1999, scoprendo che nella frutta e nella verdura in commercio si è avuto un calo del 6% del contenuto proteico, e addirittura del 38% di vitamina B12. Ortaggi come insalata, barbabietole, pomodori, melanzane, sono meno ricchi di calcio, fosforo, ferro, acido ascorbico. Nel frumento e nell'orzo la concentrazione di proteine è scesa del 30% fra il 1938 e il 1990. Mentre uno studio condotto su 45 varietà di mais fra il 1920 e il 2001, ha evidenziato un drastico calo della concentrazione di sostanze proteiche, olio, e amminoacidi. Rincara la dose una ricerca dell'US Department of Agriculture (USD) secondo la quale, nel 1950, la quantità di calcio presente nei broccoli corrispondeva in media a 12,9 milligrammi per grammo; nel 2003 questo dato è sceso a 4,4 milligrammi per grammo. Ma qual è il motivo di questo impoverimento chimico di ortaggi e frutti? Secondo gli esperti il problema va messo in relazione alle moderne tecniche di lavorazione e selezione, che permettono di ottenere frutti e ortaggi sempre più grandi, più resistenti alle malattie e a crescita più veloce, senza però rispettare le caratteristiche organolettiche delle specie coltivate. In più va tenuto conto del fatto che, per colpa dei pesticidi e delle colture intensive, i terreni si sono impoveriti e non sono più in grado di "alimentare" adeguatamente i vegetali. Le mele e l'uva sono le regine dei frutti più contaminati. Non sempre le analisi vengono fatte e così rischiamo di assumere veleni senza saperlo. Il dossier "Pesticidi nel piatto 2007" ha messo in luce che su 253 campioni di uva analizzati, ben 117 (pari al 46,2%) risultano contaminati da più di un residuo chimico: 53 sono caratterizzati da un unico principio attivo nocivo, 3 sono totalmente fuori legge. Per ciò che riguarda le mele solo il 39% è privo di pesticidi. Secondo uno studio diffuso in questi giorni da Legambiente, complessivamente, solo il 50% della frutta è "al naturale": in Friuli, nonostante la messa al bando del DDT risalente a 32 anni fa, ci sono ancora prodotti che ne contengono delle tracce. (La tesi però non è sostenuta da Coldiretti e dal Ministero della Salute: in questo caso, infatti, si dice che frutta e verdure prodotte in Italia sono regolari al 98,8%). Sotto accusa anche la ricerca genetica che consente l'ottenimento di prodotti sempre più ricchi di acqua e zucchero, ma più poveri di sali minerali e altri importanti nutrimenti. Soluzioni? Si potrebbe iniziare a verificare la realtà che ci circonda, individuando piccoli coltivatori o aziende bio, dove, di solito, le produzioni sono "più sane" di quelle derivanti dall'agricoltura intensiva. Anche il noto ambientalista Michael Pollan ha recentemente affermato che nelle piccole strutture agricole la produzione è senz'altro migliore rispetto a quella derivante dalle grosse aziende dove si bada soprattutto alla quantità e non alla qualità. Il consiglio, infine, per chi ha un pezzetto di terreno, è quello di lavorarlo con passione, così da ricavare ortaggi magari visivamente poco "attraenti", ma sicuramente più ricchi di sostanze nutritive.
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