L’Italia si trasformerà in un deserto e le sue coste
finiranno inghiottite dal mare. Sono le ipotesi catastrofiche che si evincono
dalle ultime ricerche condotte da Vincenzo Ferrara, climatologo dell’Enea. Le
sue conclusioni sono state commentate alla tavola rotonda “L’alba del giorno
dopo” organizzata da Modus Vivendi. Secondo l’esperto entro il 2090 il
Mediterraneo salirà di 18 – 30 centimetri (con picchi di 70 cm nell’Alto
Adriatico), e 4.500 chilometri quadrati di aree costiere verranno letteralmente
spazzate via dalle acque. Contemporaneamente l’innalzamento delle temperature e
l’inaridimento del clima porteranno alla desertificazione di mezza Italia: da
vent’anni a questa parte il fenomeno è addirittura triplicato e ora è il 27%
del territorio nazionale a correre seri rischi in tal senso. I dati relativi ai
cambiamenti climatici in atto sostengono che negli ultimi 100 anni la
temperatura nel Bel Paese è mediamente salita di 0,6 – 0,8 gradi centigradi.
Mentre la piovosità da cinquant’anni a questa parte si è ridotta del 14%.
Il pericolo per le coste italiane e per le zone dove il
deserto avanza inesorabile riguarda differentemente specifiche aree regionali,
ed è il risultato di ciò che Ferrara ha definito il “momento ballerino
dell’Italia che sprofonda al nord e si solleva al sud”. Il 62,6% delle terre
del meridione, dal Golfo di Manfredonia alle zone del Golfo di Taranto, il
25,4% di quelle del nord Italia, soprattutto dell’Alto Adriatico, il 6,6% di
quelle sarde e il 5,4 % di quelle del centro Italia, stanno perdendo di giorno
in giorno porzioni di roccia e sabbia. In alcuni casi il fenomeno è addirittura
ulteriormente amplificato per l’azione naturale di eventi geologici come la
subsidenza: un processo che porta all’abbassamento del suolo e che prelude a
movimenti di natura orogenetica. L’“assottigliamento” progressivo dei litorali
non coinvolgerebbe quindi solo l’area veneziana, ma anche tutta la costa del
nord Adriatico da Monfalcone a Rimini. Stesso problema riguarderebbe anche le
zone di foce di fiumi come l’Arno, il Tevere e il Volturno; zone lagunari come
l’Orbetello; i laghi costieri di Varano e Lesina.
Infine c’è il discorso della desertificazione. Secondo lo scienziato infatti il caldo porterà a una migrazione degli ecosistemi da sud a nord, e dalle valli all’alta montagna: le caratteristiche ambientali legate ai regimi pluviometrici, alle temperature, e all’umidità, subirebbero quindi una traslazione di 150 chilometri verso settentrione e di 150 metri dalle zone più basse a quelle più elevate. Del resto è un fenomeno che è già evidente anche oggi: basti pensare a ciò che rimane dei ghiacciai alpini di cento anni fa, e alle palme che ora vengono coltivate anche oltre gli 800 metri. La Puglia è la regione più colpita dalla desertificazione: il fenomeno riguarda il 60% del suo territorio. A seguire ci sono la Basilicata con il 54% e la Sicilia con il 47%. Fulco Pratesi, presidente del WWF, conclude dicendo che dietro a tali ipotesi funeste c’è anche la mano dell’uomo, e che in particolare va tenuto conto di due fattori come l’alto consumo idrico destinato all’agricoltura, e la cementificazione che annualmente mangia 40 – 50 ettari di territorio.
Infine c’è il discorso della desertificazione. Secondo lo scienziato infatti il caldo porterà a una migrazione degli ecosistemi da sud a nord, e dalle valli all’alta montagna: le caratteristiche ambientali legate ai regimi pluviometrici, alle temperature, e all’umidità, subirebbero quindi una traslazione di 150 chilometri verso settentrione e di 150 metri dalle zone più basse a quelle più elevate. Del resto è un fenomeno che è già evidente anche oggi: basti pensare a ciò che rimane dei ghiacciai alpini di cento anni fa, e alle palme che ora vengono coltivate anche oltre gli 800 metri. La Puglia è la regione più colpita dalla desertificazione: il fenomeno riguarda il 60% del suo territorio. A seguire ci sono la Basilicata con il 54% e la Sicilia con il 47%. Fulco Pratesi, presidente del WWF, conclude dicendo che dietro a tali ipotesi funeste c’è anche la mano dell’uomo, e che in particolare va tenuto conto di due fattori come l’alto consumo idrico destinato all’agricoltura, e la cementificazione che annualmente mangia 40 – 50 ettari di territorio.
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