Attenzione ai bimbi che piangono
troppo: il rischio è che in futuro possano avere difficoltà a
scuola e nei rapporti con il prossimo. Lo dice una ricerca condotta da
scienziati statunitensi ed europei del National Institute of Health e della
Norwegian University of Science and Technology. Gli esperti hanno analizzato il
comportamento di 327 bambini a sei settimane dalla nascita e dopo cinque anni.
E hanno rivelato che coloro che durante la prima infanzia erano maggiormente
soggetti a crisi di pianto, una volta raggiunta l’età scolastica presentavano
un quoziente intellettivo minore della media e inoltre atteggiamenti
comportamentali al limite della patologia. I ricercatori hanno potuto
evidenziare in talune situazioni sindromi di iperattività, comportamenti
aggressivi, e varie altre manifestazioni che in ogni caso denotano il profondo
disagio di una personalità che in fase di sviluppo fa fatica a rapportarsi ai
coetanei e in generale al mondo extra familiare. Anche a Bristol, in
Inghilterra, è stata condotta una ricerca analoga. In essa gli scienziati hanno
messo in luce che i bambini appena nati che si lamentano di più, sono quelli
che una volta grandicelli a scuola impareranno più lentamente degli altri e
otterranno voti nettamente inferiori alla media dei compagni. Ma cosa si
nasconde dietro al pianto forsennato di alcuni infanti e al rischio che questi
crescano con gravi deficit comportamentali? Secondo la psicoterapeuta corporea
e sessuologa fiorentina Matelda Tagliaferri il problema risiede essenzialmente
nell’ambiente che il bimbo incontra una volta venuto al mondo, e all’armonia o
meno che in esso regna: “È necessario che si instauri un corretta
‘corrispondenza empatica’ tra i bimbi e i genitori – ha spiegato la studiosa
italiana – nel senso che è indispensabile che una mamma o un papà sappiano
comprendere le esigenze del proprio figlio, aldilà di quello che può
apparentemente sembrare. Se ciò non accade il bimbo cresce con dei bisogni
insoddisfatti che a lungo andare interferiscono negativamente sulle sue
capacità intellettuali e cognitive”. Lo studio statunitense ha soprattutto
posto in risalto il fatto che, bambini che durante l’infanzia non sono stati
capiti correttamente, presentano un quoziente intellettivo addirittura di nove
punti inferiore al livello standard per l’età di riferimento. “È un dato
allarmante – ha continuato Tagliaferri – in particolare se si tiene conto del
fatto che l’intelligenza umana non è solo un aspetto legato ai numeri e al
ragionamento. Ma è soprattutto un modo per rapportarsi al mondo e saper
raccogliere le opportunità che esso ci offre”. Infine i ricercatori hanno
sottolineato che i motivi che inducono al pianto un neonato di solito non sono
così difficili da comprendere. Semplicemente, come ha ammesso Tagliaferri,
basterebbe rendersi conto della reale necessità di instaurare con il proprio
piccolo una giusta ‘corrispondenza empatica’. Pertanto un bimbo può piangere per fame o sete: il pianto è breve o ritmico, sempre più
intenso se il bambino non viene soddisfatto; per dolore:
è un pianto disperato, inconsolabile, che può durare a lungo (anche ore),
provoca sudorazione e viso paonazzo; per fastidio:
se è stanco o annoiato il bambino piagnucola in modo lamentoso; per sfogo: a volte il bambino piange prima di
addormentarsi. È un pianto che si attenua a poco a poco e serve a scaricare un
po' di tensione.
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