Sono fra gli
organi più delicati del nostro corpo che, pur ammalandosi, spesso, non danno
sintomi. Quando s'interviene, però, potrebbe essere troppo tardi e il rischio è
quello di dover periodicamente purificare il sangue attraverso la dialisi. Il
dolore, tuttavia, sa bene di averlo patito una 45enne torinese che, dopo avere
subito un inutile intervento chirurgico, ha scelto la strada, anche per i
medici, più adatta alla sua guarigione: l'espianto definitivo dell'organo. Solo
così ha, infatti, potuto eliminare definitivamente il male. Un'operazione unica
al mondo, perché per affrontarla gli specialisti hanno utilizzato un robot:
«Non di quelli che siamo soliti immaginare, riproducenti le fattezze di un
uomo», ci spiega Paolo Gontero, direttore dell'Urologia universitaria
dell'Ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, «ma un macchinario
altamente tecnologico che ci ha consentito di lavorare in un'area anatomica
molto sensibile, che i chirurghi avrebbero fatto fatica a gestire da soli». Insomma,
senza il robot non sarebbe stato possibile portare a termine il tradizionale
intervento di nefrectomia.
E il motivo risiede nella particolare anatomia della
signora: «I reni, infatti, risiedono nella zona lombare, in corrispondenza
della fine delle vertebre della schiena», continua Gontero, «ma la paziente ne
aveva uno dei due a ridosso dell'utero, in una posizione che le provocava gravi
e continui dolori». Un rene "diverso" non solo per la posizione, ma
anche per l'anatomia; presentava infatti tre arterie che lo irroravano, mentre
è un solo vaso afferente a entrare normalmente in gioco nella zona glomerulare
(la parte più importante del rene dove vengono filtrate le sostanze da
scartare). Tecnicamente in questi casi si parla di rene ectopico pelvico. Ma la
storia non finisce qui. Perché il destino del rene espiantato, che ha
finalmente ridato serenità a una 45enne torinese, era quello di finire gettato,
come accade con tutti gli altri materiali biologici provenienti dalle analisi
mediche o dalle operazioni chirurgiche.
E invece è stato riutilizzato per
restituire la salute a un uomo di 51 anni, da tempo afflitto da una nefropatia
che lo costringeva alla dialisi. Dalla donna, quindi, il rene è finito su un
tavolo della sala ospedaliera dove - anche grazie alla collaborazione di Luigi
Biancone, direttore del reparto di Nefrologia e Maurizio Merlo, chirurgo
vascolare - è stata appurata la sua perfetta funzionalità: «Sono passati
pochissimi istanti fra l'espianto e il trapianto», ci dice Gontero, «e il rene
era in ottimo stato; abbiamo chiuso le tre arterie per poi procedere con il
classico intervento di trapianto renale, con l'introduzione del nuovo organo
nella fossa iliaca del nefropatico».
E' la zona dell'addome nella quale,
secondo la prassi, vengono inseriti i reni trapiantati, in una sede diversa da
quella naturale, ma ideale per ridare la possibilità a un organismo di
depurarsi. Poi sono intervenuti altri medici per assicurare al rene trapiantato
il corretto "dialogo" con gli ureteri e la vescica. Il futuro? Il
robot tornerà presto a fare parlare di sé, essendo in dote all'ospedale
torinese da qualche anno, e impiegato regolarmente per interventi urologici di
varia natura, coinvolgendo non solo i reni ma anche la vescica e la prostata.
Battezzato non a caso Da Vinci (in onore del genio scientifico di Leonardo),
continuerà a lavorare grazie ai suoi quattro bracci hitech, tre dei quali
perfettamente tarati per maneggiare bisturi, forbici e strumenti
elettrochirurgici. Intanto l'equipe medica di Gontero si gode l'eccezionale
traguardo raggiunto: due pazienti di mezza età che stanno riprendendo a vivere
grazie al perfetto connubio fra uomo e tecnologia.
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