Siamo tormentati
dai dubbi? E' un buon segno. Significa che possediamo una coscienza. Così pensava
Cartesio. L'uomo, di fatto, è l'unica specie in grado di porsi degli
interrogativi che vanno oltre la quotidianità. In questi termini s'indica la
consapevolezza di sé. C'è solo un problema: nessuno ha idea di cosa sia
esattamente la coscienza e dove risieda. Anche perché forse non va cercata dal
punto di vista morfologico o anatomico, bensì da quello funzionale: la
consapevolezza di sé non sarebbe, infatti, il risultato dell'azione di una
particolare area cerebrale, ma della relazione fra i neuroni che si instaura
fra diversi scompartimenti mentali. Quello che potrebbero avere messo in luce
dei neurologi dell'Harvard Medical School e del Beth Israel Deaconess Medical
Center. «Per la prima volta abbiamo individuato una connessione fra la regione
del tronco cerebrale coinvolta nell'eccitazione e regioni che riguardano la
consapevolezza, presupposti chiave per spiegare la coscienza», dice Michael Fox,
professore di Neurologia presso il Beth Israel Deaconess Medical Center.
Il tronco
encefalico è il centro di smistamento degli impulsi nervosi: da qui infatti
passano le fibre che innervano il midollo spinale, il cervello e il
cervelletto. Regola azioni fondamentali come la respirazione, il ritmo
sonno-veglia, la circolazione sanguigna, la pressione nei vasi. E sarebbe
strettamente connesso con il funzionamento della coscienza. Che si è sempre
pensato risiedesse in un punto imprecisato della corteccia cerebrale, lo strato
più esterno del cervello, legato al pensiero, alla parola e alla
concentrazione. Il test più importante è stato effettuato su 36 pazienti con
lesioni del tronco encefalico, 12 dei quali in coma; servendosi di una nuova
tecnica di analisi del tessuto cerebrale, la Voxel-based Lesion-Symptom
Mapping; incentrata sull'elaborazione dei voxel, corrispettivi tridimensionali
dei pixel (comunemente usati nelle immagini). E' emerso che esiste una piccola
porzione del tronco encefalico - il tegmento pontino dorso laterale rostrale - che
influenza lo stato comatoso, e dunque la perdita di coscienza. Da qui,
coinvolgendo altri malati, si è giunti a identificate con la risonanza
magnetica l'insula anteriore e la corteccia cingolata anteriore pregenuale,
entrambi "scritturati" dal tronco encefalico.
La prima risiede
nella corteccia cerebrale ed esprime lo sviluppo cognitivo ed emozionale di un
individuo; la seconda, frammento corticale situato fra i due emisferi, è
fondamentale per l'elaborazione delle esperienze e dei pericoli: il
caratteristico disturbo post-traumatico da stress che accorre, per esempio, ai
superstiti dei terremoti, dipende dalla grandezza di quest'area. «Con questi
risultati possiamo comprendere la connettività cerebrale, alla base della
coscienza», racconta Fox, «e spiegare come una lesione localizzata influenza
l'intero sistema neuronale». Non a caso s'è iniziato a parlare di
"connettoma" per indicare la mappa delle connessioni fra tutti i
neuroni del cervello. La tesi cavalcata anche da Stuart Hameroff, anestesista
americano dell'Arizona University, da sempre in prima linea nello studio della
coscienza; e dal matematico Roger Penrose, professore emerito a Oxford, amico
di Stephen Hawking, e autore del famoso libro La mente nuova dell'imperatore. I
due vanno oltre e parlano di "vibrazioni quantistiche" asserendo che
molti anestetici agiscono su particolari strutture cellulari di natura
proteica, i microtuboli. Risiedono nelle cellule nervose e spiegherebbero ritmi
elettroencefalografici anomali; ma del tutto assimilabili a un flusso
coscienzioso.
La coscienza,
dunque, potrebbe non essere una prerogativa umana e annidarsi innatamente in
microstrutture deputate al trasporto di sostanze e alla stabilità cellulare. Ne
è convinto Penrose che così giustifica «il topo che elude una trappola e porta
via una cioccolata»; ma anche l'ipotesi che, essendo un prodotto di natura
quantistica, possa sopravvivere all'individuo. E qui si aprono teorie che
sfiorano la fantascienza. Perché è possibile presupporre che, se la coscienza è
svincolata dall'evoluzione delle specie, può essere una prerogativa dell'universo;
che trascende completamente la nostra esistenza. Robert Lanza - per il New York
Times il terzo più importante scienziato vivente, autore di Biocentrismo (Il
Saggiatore, 2015), e professore della Wake Forest University School of Medicine
- ne parla apertamente affidandosi all'estro di Bob Berman, un cosmologo. «La
nostra coscienza ha un proprio senso nel mondo». Insomma si muore, ma in un
certo senso esisteremo per sempre. E Lanza, certo, lo sa esprimere con più poesia:
«Con la morte, la nostra vita diventa un fiore perenne che torna a vivere nel
multiuniverso».
Sonno
e coscienza
Anche il sonno,
per molti versi, è un mistero; e si interfaccia al tema della coscienza, perché
dormendo, di fatto, smettiamo di renderci conto di ciò che succede.
L'impressione è che la connettività neuronale entri in una fase di quiescenza,
adombrando i sensi e la consapevolezza del mondo che ci circonda. Ma è proprio
così? Secondo uno studio condotto da esperti dell'Università del Wisconsin, in
Usa, quando dormiamo le regioni che regolano la percezione, la riflessione e
l'azione, entrano in stand-by e smettono di funzionare. Si è infatti visto che
gli impulsi nervosi normalmente veicolati durante la veglia, con il sonno si
arenano, impedendo l'attivazione di neuroni specifici. La cosiddetta
"disconnessione cerebrale" è però uno stratagemma fondamentale
adottato dall'organismo per far riposare gli organi, consentire il metabolismo
e regolare la diffusione di ormoni.
La relazione con l'inconscio
Complessa è
anche la relazione con l'inconscio, che indica le attività mentali escluse
dalla coscienza di un individuo. Ci sono dunque pensieri, emozioni, tendenze
comportamentali, che parafrasano l'inconscio e si antepongono alla coscienza.
L'inconscio è una conoscenza latente delle cose, diceva Platone; poi ha preso
una forma più specifica con gli studi di Freud e Jung. Quest'ultimo si rifà
all'inconscio collettivo ereditato dai nostri antenati, e in qualche modo
curiosamente riconducibile alla coscienza che sopravvivendo entra a far parte
di un disegno metafisico globale. Tutto torna? Più o meno. Certamente si può
parlare di sensibilità incosciente che dà modo al cervello di accumulare
informazioni senza rendersene conto. E si può definitivamente scalzare il detto
secondo il quale si utilizza solo una parte del cervello: gli ultimi studi
rivelano che è esattamente il contrario.
La
dichiarazione di Cambridge
Gli scienziati
ritengono che molte specie animali nutrano consapevolezza di sé. Così si
spiegherebbero le loro emozioni, talvolta assimilabili a quelle umane, e molti
comportamenti giustificati solo da una coscienza della propria natura. Nel 2012
è stata stipulata la "Dichiarazione di Cambridge sulla coscienza" per
ufficializzare quest'attitudine zoologica. Il fenomeno coinvolge soprattutto il
mondo dei mammiferi e degli uccelli. Le scimmie vegliano i cadaveri dei propri
familiari; i corvi aspettano che passi una macchina e che schiacci delle noci
per poi mangiarle; i delfini giocano per ore; gli elefanti collaborano; le
ghiandaie cambiano il nascondiglio del cibo se viste da propri simili. Il test
dello specchio, in cui l'animale è invitato a specchiarsi e a reagire alla
propria immagine, è un'ulteriore prova. Finora l'hanno passato varie scimmie,
le orche, e gli elefanti. E gli uomini oltre il diciottesimo mese.
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