Fino a metà degli anni Novanta non si conosceva neanche un
pianeta extrasolare; si sospettava, ma nessuno poteva confermarlo. Poi giunse
la notizia dall’Osservatorio di Ginevra: Michel Mayor e Didier Queloz fecero
luce su un corpo celeste che ruotava intorno a 51 Pegasi, stella situata nella
costellazione di Pegaso, a 47 anni luce dalla Terra. Intuizione che, in realtà,
era già venuta a Alexander Wolszczan (e a ben vedere perfino a Isaac Newton molti
secoli prima), un polacco che affidandosi al telescopio di Arecibo, nel 1992,
disse di avere inquadrato due pianeti che giravano intorno a una pulsar; la
notizia rimase in sordina, ma ancora oggi la paternità del primo pianeta
extrasolare non è stata affidata.
Tuttavia dai pionieristici anni Novanta a oggi siamo
arrivati a quota 3.560, dato confermato il 14 gennaio 2017. E lo spazio non ha
smesso di sorprendere. Anche perché le tecniche per “scansionare” i pianeti
extrasolari si stanno affinando sempre più. Il metodo del transito, per
esempio, consente a un telescopio di puntare le antenne su una particolare
stella, per poi aspettare che un corpo celeste ne oscuri una piccola parte; permettendoci
di arrivare indirettamente a presumere l’esistenza di un pianeta. Ma è solo
l’inizio della sfida. Perché l’identificazione di un corpo celeste ha davvero
senso se è possibile paragonarlo alla Terra; da qui, infatti, si può arrivare a
ipotizzare la presenza della vita. Cosa ci frena?
L’incapacità attuale di “diagnosticare” appropriatamente l’atmosfera
dei pianeti extraterrestri e la loro natura geologica; l’ossigeno è
prioritario, così come una superficie solida. Il problema è che al momento
questi due parametri si possono solo presupporre, perché gli strumenti a
disposizione non sono abbastanza potenti. Su Scientific Reports emerge che
l’ossigeno dei pianeti extrasolari potrebbe non essere di origine biologica;
mentre sulla Terra il fenomeno è palesemente associato alla fotosintesi
clorofilliana, contemplata per la prima volta 3,5 miliardi di anni fa da
strutture algali primordiali, grazie alle quali è iniziata la lunga avventura
delle specie aerobiche. Altrove potrebbe derivare da reazioni coinvolgenti
l’ossido di titanio, abbondante, per esempio, nei meteoriti e sulla luna.
È un primo passo per renderci conto che la vita sulla Terra
potrebbe essere una peculiarità, non necessariamente assimilabile ad altri
contesti spaziali. Ma il telescopio Hubble è riuscito a essere più preciso,
indicando cinque pianeti con caratteristiche chimico-fisiche più vicine a quelle
dei pianeti terrestri, rispetto ai giganti gassosi come Giove o Saturno. La
prima suggestione riguarda il pianeta extrasolare a noi più vicino, scoperto
l’estate scorsa. Orbita intorno a Proxima Centauri, astro che brilla ad
“appena” 4,2 anni luce da noi. In termini astronomici è dietro l’angolo.
Proxima Centauri b, come è stato battezzato, occupa la cosiddetta “habitable
zone”; trovandosi a una distanza dalla stella che consentirebbe l’acqua allo
stato liquido; presupposto fondamentale per la vita. I calcoli stimano che si
potrebbe trattare di un oceano pianeta, vale a dire un corpo celeste di natura
terrestre completamente ricoperto di acqua.
La missione Kepler ha fatto luce su Kepler-438-b, a 472
anni luce dal sistema solare. È il pianeta potenzialmente più simile alla Terra
(ma anche a Venere). Simili le temperature in superficie e le dimensioni.
Gliese 667 Cc è più lontano e gira intorno a una stella più piccola del sole,
ma consente una temperatura media di 13°C. Ce ne sono altri, ma non si può andare
oltre con le supposizioni e in ogni caso rimangono, per ora, distanze
impercorribili. Le nuove speranze sono affidate al progetto Breakthrough
Strashot, che punta a inviare una flotta di sonde in grado di viaggiare ad
altissima velocità (al 20% della velocità della luce) per 41mila miliardi di
chilometri. Potrebbero raggiungere le estremità del sistema solare in tre
giorni. Direzione, Alpha Centauri, a due passi dal pianeta extrasolare Proxima
Centauri b. Progetto appoggiato anche da Stephen Hawking e da Mark Zuckerberg e
finanziato dal magnate russo Yuri Milner. Prevedibilmente potrà effettuarsi nel
2069. La vita?
Per la Nasa la troveremo entro il 2025; per il Seti
(Ricerca di intelligenza extraterrestre) entro il 2040. Più prosaicamente
potremo valutare dei parametri specifici e in base a ciò ipotizzare seriamente
qualche attività organica. È stata approntata una formula matematica da Caleb
Scharf del Columbia Astrophysics Laboratory di New York, e da Leroy Cronin
dell’Università di Glasgow, in Inghilterra. Valuta di un pianeta il numero di
composti chimici (comprese proteine, zuccheri e grassi) e la quantità di
“mattoni elementari” necessari a consentire a un organismo di nutrirsi e
riprodursi. E forse allora potremo davvero dare credito alla previsione dell’astrofisico
Frank Drake, che nel 1961 espresse la sua opinione più ottimistica sulla
possibilità di civiltà tecnologiche: 600mila mondi avanzati nella sola Via
Lattea.
Pianeti impossibili
Bella la speranza di scoprire
mondi abitabili, ma la stragrande maggioranza dei pianeti individuati fino a
oggi, è del tutto inospitale. I pianeti PSR fanno parte di un sistema solare
morto bombardato da continue radiazioni. Su HD 189733b spirano venti a 4.500
km/h, con temperature che sfiorano i 2mila gradi. WASP-18bc è talmente vicino
alla sua stella che finirà presto inghiottito, con la sua velenosa atmosfera.
Fa invece freddissimo su OGLE, il pianeta extrasolare con la temperatura più
bassa: - 220 gradi centigradi. E ci sono infine situazioni in cui i pianeti extrasolari
sono talmente giovani da non essere ancora completamente formati. Accade sul
sistema RXJ1615, caratterizzato da una stella di circa due milioni di anni
circondata da anelli detritici che un giorno diverranno corpi celesti.
I pianeti di Guerre Stellari
Stars Wars - celebre saga di
George Lucas - ci ha fatto sognare, con i suoi mondi inimmaginabili e
fantastici. Ma arriva dalla Nasa una sorpresa: i pianeti considerati dal
colossal cinematografico potrebbero essere reali. Kepler-16-b è un pianeta gigante
simile a Saturno, posto a 200 anni luce dalla Terra: illuminato da due soli
ricorda Tatooine, luogo natale della famiglia Skywalker (protagonista della
saga); Ogle 2005-BLG-39OL, un corpo celeste completamente ghiacciato, è simile
a Hoth, presente nel film "L'impero colpisce ancora". "L'attacco
dei cloni" è invece evocato da Kamino, un pianeta dove piove sempre, e
assimilabile a due lune del sistema solare: Europa e Encelado.
Vita su Marte
Guardiamo sempre più in là, ma
senza dimenticare che anche nel sistema solare ci sono realtà che potrebbero
ospitare la vita. Il primo della lista è Marte; e non è un caso che gran parte
delle risorse in campo ingegneristico spaziale vengano indirizzate per missioni
sul pianeta rosso. Il successo dei robottini Spirit e Opportunity ne dimostrano
l'importanza. Pochi giorni fa la notizia diramata dal Cnr, secondo la quale
Marte potrebbe ospitare forme di vita primordiali simili ai batteri terrestri.
Gli scienziati sono giunti a queste conclusioni dopo avere analizzato numerose
fotografie inviate dai rover marziani. Le rocce del pianeta rosso mostrano,
infatti, stratificazioni sedimentarie analoghe a quelle riscontrabili sulla
Terra, per via dell'azione di microrganismi.
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