Parliamo del vostro ultimo progetto per salvaguardare il territorio dalle frane. In che modo sensori e pannelli fotovoltaici consentono di “diagnosticare” lo stato geologico delle pareti a rischio?
Utilizziamo sensori tradizionali e innovativi. I primi - estensimetri e inclinometri - valutano l'eventuale allargamento di fessure preesistenti e variazioni di inclinazione, sintomi di una dinamica macroscopica della parete sotto osservazione. I secondi invece – accelerometri di nuova generazione (tecnologia integrata su silicio MEMS) e geofoni – consentono “la lettura” di onde microsismiche generate da microfessure, formatesi per esempio a causa dell'azione gelo-disgelo. Si acquisiscono duemila dati al secondo. Infine i pannelli fotovoltaici permettono agli strumenti di avere una loro autonomia anche in situazioni di stress energetico o in caso di pioggia.
Come sono andati i primi test condotti a Lecco, presso il Monte San Martino?
Ottimamente. Il sistema è entrato in azione senza problemi. Nel momento in cui i miei bravissimi ingegneri hanno attivato il sistema, i dati hanno iniziato a fluire. A più di un mese di distanza dai primi test possiamo dire che il sistema funziona al meglio: abbiamo ottenuto migliaia di informazioni significative, ora in fase di studio.
Sono previsti altri test?
Sono previste nuove uscite con i Ragni di Lecco per valutare l'azione di urti indotti da massi che, inducendo microterremoti, possono creare falsi positivi.
Quando il nuovo sistema potrebbe essere distribuito su larga scala e consentire al meglio il controllo delle zone più “calde”?
Immediatamente. Il sistema è più che un prototipo. È un complesso meccanismo di acquisizione di dati idrogeologici altamente ingegnerizzato. I prototipi hanno una vita troppo breve. Per avere un sistema credibile era necessario compiere un salto quantitativo, oltre che qualitativo; e qui è stata assai preziosa la collaborazione della Resen, start up incubata dal Politecnico di Milano.
Attualmente come viene monitorato il rischio frane?
Con segnali geodinamici tradizionali che fluiscono verso la sala di monitoraggio. È una fase che non deve essere sottovalutata, rappresentando l'ultimo anello della catena verso la realizzazione di modelli predittivi in grado di fornire uno stato di rischio specifico associato al crollo. Solo terminata questa fase di ricerca e studio potremo capire come comportarci per non generare inutili allarmismi.
Perché i satelliti non sono altrettanto efficaci?
Per vari motivi. C'è un problema di visibilità: il satellite ha difficoltà a valutare le pareti verticali. Ci sono poi dei limiti legati alla frequenza di acquisizione dei dati: nel migliore dei casi avremmo un'immagine al mese, troppo poco per predire fenomeni rapidi come le frane. Infine c'è il fattore risoluzione: con le tecnologie satellitari attuali predire lo spostamento di un millesimo di millimetro in una roccia è pura fantascienza.
Cosa possiamo dire di Robotclimber, il robot scalatore approntato dall'ESA, in grado di evitare frane e smottamenti?
Beh, è un bellissimo progetto. Il robot pesa però quattromila kg: vorrei proprio vederlo all'opera su pareti di qualche centinaio di metri come il San Martino. Ma non è questo il punto. Il robot ha come obiettivo il consolidamento delle pareti rocciose, non lo studio dei fenomeni di crollo. E poi, non ha il cuore e la bravura dei Ragni, i "maglioni rossi della Grignetta"...
L'Italia è una delle nazioni europee più sensibili al fenomeno delle frane. L'effetto serra potrebbe peggiorare la situazione?
Difficile dare una risposta per uno scienziato. I cambiamenti climatici potrebbero (e uso volutamente il condizionale) influenzare le dinamiche associate a fenomeni di crollo, ad esempio attraverso un aumento delle precipitazioni atmosferiche. Per contro, però, un innalzamento delle temperature porterebbe a ridurre il fenomeno del gelo-disgelo, alla base di frane e smottamenti.
Quali sono le zone più soggette al fenomeno franoso?
Tutto l'arco alpino e appenninico è soggetto a frane. Per quanto riguarda i crolli più significativi avvenuti in provincia di Lecco, possiamo citare la frana del 1969 della parete sotto osservazione (con sette vittime) e il blocco di una settimana della SS36 (interruzione della viabilità da e per Sondrio) quest'anno.
Nessun commento:
Posta un commento