Mesi fa
fu l’ipotesi di una camera segreta a ridosso della tomba di Tutankhamon, il
faraone bambino; da qualche settimana la notizia di probabili stanze
“immacolate” nella Grande Piramide di Giza. E oggi, a conferma di un’attenzione
mai sopita nei confronti del magico mondo egizio, una nuova sorprendente
scoperta: i resti della regina Nefertari. Era una potente sovrana della diciannovesima
dinastia, moglie di Ramesse II, detto il Grande, vissuto più di mille anni
prima di Cristo. Ebbe un grande impatto durante il regno, imparò a leggere e a
scrivere, e contribuì al dialogo con vari sovrani dell’epoca. Su Plos One, fra
le più prestigiose riviste scientifiche, la ricerca condotta da un team di
archeologi coordinati dall’Università britannica di York.
Hanno preso in
considerazione i resti di una mummia rinvenuti nella tomba di Nefertari, nel
1904, dall’italiano Ernesto Schiaparelli, conservate in una teca nel Museo
Egizio di Torino. Sono due gambe mummificate, sottoposte a una serie di analisi
chimiche e antropologiche, compresa una datazione con il carbonio 14. Il
frammento più lungo arriva a trenta centimetri, e si compone di una parte
scheletrica riconducibile a femore, tibia e rotula. I test hanno confermato la
presenza di lesioni tipicamente assimilabili ad artrite e osteoartrosi. È stato
possibile studiare dei tessuti vascolari, rappresentati da arterie parzialmente
interessate da processi arteriosclerotici: evidentemente anche la “sana” cucina
di un tempo non era così in linea con il mantenimento di un buon livello di
trigliceridi e colesterolo nel sangue.
Sono ossa sottili, che senz'altro non
appartennero a un operaio che lavorava tutto il giorno all'aperto, ma a un
membro di alto rango. Gli esperti spiegano che ci sono molte possibilità che si
tratti dei resti della famosa regina, ma non possono esserne certi al 100%:
manca infatti il Dna. Quello recuperato da un centimetro quadrato di pelle era
troppo degradato per fornire dei risultati convincenti. E in ogni caso mancherebbe
la comparazione col profilo dei parenti più stretti (che non sono mai stati
identificati). Senza questa firma genetica, dunque, non è possibile cantare
vittoria.
La percentuale è ferma al 75%, un numero comunque rivelante.
Coincidono anche tutti i parametri storici. Presenta, in particolare, le
caratteristiche delle tecniche di mummificazione osservate dagli imbalsamatori durante
il regno di Ramesse II. È intuibile l’utilizzo di bende peculiari e di grassi
animali. I resti permettono, peraltro, di stimare la presunta anatomia della
regina al momento della morte: una donna di quaranta cinquanta anni, alta 1,65
metri. La grande sposa reale (uno dei tanti soprannomi che le affibbiarono)
finì nella tomba che poi venne battezzata QV66. Si trova nella Valle delle
Regine ed è fra le più belle tombe egizie che siano mai state scoperte.
Fu
trafugata nell’antichità, ma oggetti e suppellettili ritenuti di poco valore furono
abbandonati. È così che, insieme alle gambe del reperto mummificato, sono
giunti a noi dei sandali di ottima fattura e trentaquattro figurine di legno con
inciso il nome della regina, destinate a fornirle materiale realizzato a mano
per accompagnarla nel viaggio nell’aldilà. Frank Ruhli, dell’University of
Zurich conclude dicendo che “non possiamo del tutto dimostrare che questi siano
i resti della grande regina, ma ogni dato propende per questa tesi; sarebbe
stato diverso se le analisi avessero rivelato la mummia di un bimbo o di una
persona, comunque, più giovane".
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