Il cervello delle persone in coma neurovegetativo funziona
più di quanto non si pensi. È quel che sostiene John Connolly dell’Università
di Dalhousie in Nova Scozia (Halifax-Canada). Lo scienziato ha studiato
l’attività cerebrale di pazienti tenuti in vita dalle macchine e ha scoperto
che in alcuni la funzione del cervello è tutt’altro che assente. Per Connolly,
dunque, l’eutanasia è un male della società, perché contribuisce a eliminare
persone che in qualche modo sono ancora vive.
Secondo lo studioso canadese una buona parte dei pazienti
che si trova in coma neurovegetativo possiede infatti un certo grado di
consapevolezza: il contrario di quanto ritenuto finora che vede invece gli
individui che hanno subito dei gravissimi traumi incapaci di intendere e di
volere. A ciò è giunto dopo aver installato degli elettrodi su quattro pazienti
selezionati per l’esperimento, inerti da più di un anno. Lo scienziato si è
inizialmente rivolto loro pronunciando una serie di frasi sconnesse e prive di
significato, e ha in seguito annotato i dati ricavati dalle singole attività
cerebrali. Nel 75% dei casi ha rivelato che il cervello dei pazienti in
coma irreversibile non è spento, ma ha ancora voglia di lavorare e quindi di
sopravvivere.
Connelly è famoso in patria e nel
mondo per le innovative tecniche di indagine nel campo della mente umana. In
particolare i suoi studi si basano su indagini di magnetoencefalografia e
immagini di risonanza magnetica. Dei risultati analoghi il ricercatore di
Halifax li ha conseguiti anche in passato su una ventina di pazienti sempre in
stato di coma neurovegetativo.
La notizia è stata accolta da
molti esperti del settore con scetticismo e incredulità. A sfavore delle tesi
sostenute da Connelly si è schierato David Good della Wake Forest University di
Winston – Salem in North Carolina (USA). Secondo lo scienziato statunitense
infatti i risultati di Connelly andrebbero presi con le pinze, anche se non ha
nascosto che spesso i grandi traguardi della medicina si ottengono proprio
dalle piccole osservazioni come quelle appunto effettuate dal medico dell’Università
di Dalhousie.
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