Allergie
e intolleranze alimentari. Se si guarda alle nuove generazioni, sembrerebbero i
(veri) mali del secolo. Prima della rivoluzione industriale c'erano pochissime
persone colpite da queste malattie; oggi, invece, quasi tutti gli abitanti dei paesi
occidentali vanno incontro, nel corso della loro vita, a qualche problema
legato all'alimentazione. Perché? Di sicuro c'entra l'inquinamento, lo smog, i
cambiamenti climatici, i pesticidi, ma più di ogni altra cosa il fenomeno ha a
che vedere con le condizioni nutrizionali dell'uomo moderno che sono cambiate
repentinamente, cogliendo impreparato l'organismo che, in un certo senso, non è
in più in grado di differenziare ciò che è bene da quel che provoca problemi.
Il caso più eclatante riguarda il latte. L'intolleranza al lattosio è un
problema che riguarda il 50% degli italiani, cifra che sfiora il 100% nei paesi
asiatici. Ma il problema è facilmente spiegabile: l'uomo non è
"tarato" per assimilare il principale zucchero del latte, per cui,
dopo lo svezzamento, sempre più persone cadono vittime di questo disagio
alimentare alla base di disturbi come nausea, dissenteria, crampi allo stomaco.
Oggi il latte, durante l'età adulta, dovrebbe essere a esclusivo appannaggio di
soggetti che possiedono una particolare mutazione, avvenuta durante le prime
fasi storiche dell'allevamento, in contemporanea con lo sviluppo
dell'agricoltura. I popoli che vivevano a stretto contatto con bovini e
caprini, hanno elaborato la capacità di assimilare il latte, ma tutti gli altri
(e sono la maggior parte) non la possiedono. Le percentuali più alte si trovano
in Scandinavia, dove le etnie locali si sono evolute in stretta sinergia con i
produttori animali, poiché alle alte latitudini è stato necessario trovare uno
stratagemma diverso per ottenere la vitamina D, scarsa dove l'irraggiamento è debole,
ma abbondante nel latte. E' solo un esempio. L'intera storia del genere umano,
infatti, riflette un tipo di alimentazione del tutto diversa da quella che
osserviamo oggi, tenendo conto di parametri antropologici e sociali che nulla
hanno a che vedere con quelli instauratesi dopo l'epopea della Mezzaluna
fertile.
Di fatto si può dire che l'uomo si sia alimentato sempre nello stesso
modo, per circa due milioni di anni, a partire dalle prime forme riconducibili
al genere Homo; e solo negli ultimi 10mila anni ha cambiato le sue abitudini
alimentari, compromettendo in alcuni casi il normale metabolismo. La dieta
seguita dal cosiddetto "uomo primitivo" (compresi i parenti più
vicini all'uomo moderno, come il Neanderthal e il Denisova) viene detta
"dieta paleolitica". Torna in auge per via dei tentativi di alcuni
nutrizionisti di allontanarci da un'alimentazione "inconsapevole" e
nociva, per ricondurci ai paradigmi alimentari che per migliaia e migliaia di
anni hanno consentito il nostro sviluppo. Di cosa si tratta esattamente? La
dieta paleolitica si basa sostanzialmente sui prodotti offerti dalle due
tradizionali attività dell'uomo di un tempo: la caccia e la raccolta. Pertanto
concerne alimenti come i semi, le bacche, il miele, le radici, qualunque tipo
di frutta; ma anche prodotti di origine animale ottenuti da vermi, lumache,
insetti, crostacei e naturalmente mammiferi.
Secondo alcuni nutrizionisti
questo tipo di alimentazione consentirebbe non solo di riavvicinarci alle
abitudini dei nostri antenati, ma anche di contrastare i chili di troppo. E lo
confermano i numerosi seguaci della dieta paleolitica, fra cui celebrità come
Megan Fox e Matthew McConaughey. Alcune ricerche dicono che faccia bene anche
alla salute cardiovascolare, consentendo di mantenere sotto controllo i livelli
pressori; riduce inoltre le infiammazioni e migliora le funzionalità dell'epidermide.
Restano tuttavia molti dubbi; di fatto i popoli più longevi della Terra, fra
cui gli italiani, sono quelli che si nutrono soprattutto di prodotti
cerealicoli, del tutto esclusi dalla dieta paleolitica.
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