mercoledì 20 maggio 2009

Ictus: una nuova soluzione dagli Usa

Una nuova soluzione per combattere l’emorragia cerebrale ICH, tra le forme di ictus più gravi e invalidanti. Consiste nella somministrazione di un particolare agente emostatico, chiamato rFVIIa. Quest’ultimo, impiegato tempestivamente, ha la capacità di ridurre l’espansione degli ematomi, prerogativa di tutte le forme emorragiche che coinvolgono l’organo cerebrale, e quindi di salvare la vita a molti pazienti. La notizia, frutto di una ricerca condotta su 399 individui, è stata diffusa sulle pagine del New England Journal of Medicine (NEJM), dagli studiosi del Columbia University College of Physicians and Surgeons di New York. L’emorragia ICH, detta anche intracerebrale, si sviluppa in aree precise del cervello, come il cervelletto e i gangli della base. La causa più comune della malattia è l’alta pressione sanguigna (ipertensione) o la preesistenza di una malformazione vascolare come un aneurisma o un angioma. L’aneurisma è una dilatazione circoscritta delle arterie, che si sviluppa per il progressivo sfiancamento di un piccolo tratto della parete arteriosa: i sintomi del male sono nella maggior parte dei casi correlati alla sua rottura, in quanto l’aneurisma può rimanere totalmente asintomatico fino all’emorragia. L’angioma invece è una crescita abnorme di una struttura vascolare, che può per esempio formarsi a livello del passaggio tra il sistema arterioso e quello venoso: in questo caso l’arteria, che è in grado di supportare una pressione sanguigna piuttosto alta, sfianca le pareti della vena, morfologicamente più adatta a pressioni basse, predisponendo l’organismo a un elevato rischio di ictus. Attualmente, la mancanza di un trattamento per l’ICH è giudicata dai neurologi un’emergenza medica grave. Nei paesi occidentali (UE, USA e Giappone) sono circa 250mila i casi di emorragia cerebrale che si verificano ogni anno. L’incidenza a livello mondiale varia tra 30 e 50 casi ogni 100mila abitanti e aumenta con l’età. Il decesso avviene nel 35 - 52% di questi pazienti entro un mese dall’insorgenza e solo il 20% dei sopravvissuti ha probabilità di tornare a condurre una vita normale.

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