L’imminente lancio della Nasa del supertelescopio Kepler (che avverrà nel 2009) e la scoperta, lo scorso anno, del primo pianeta “terrestre” Gliese 581 rende ottimisti gli studiosi del SETI, Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Ricerca di Intelligenza Extraterrestre). I ricercatori statunitensi – in un recente documentario trasmesso dalla BBC – hanno infatti dichiarato che la scoperta di forme di vita aliene è davvero dietro l’angolo. In particolare Frank Drake, fondatore del SETI, afferma che il primo contatto con una forma di vita extraterrestre avverrà quasi sicuramente entro una ventina d’anni, non di più. “Oggi abbiamo dei validi motivi per credere in questo – ha rivelato lo scienziato -. Siamo certi che entro il 2030 l’uomo conoscerà la vita al di là del sistema solare, e forse sarà possibile avere a che fare anche con forme di vita civilizzate come la nostra”. Fu Drake il primo a proporre anni fa una equazione matematica nella quale evidenziava la notevole probabilità di riscontrare forme di vita all’interno della nostra galassia. Per arrivare a ciò lo studioso aveva considerato una serie di “fattori probabilistici” giungendo infine a concludere che la Via Lattea è verosimilmente piena di pianeti ospitanti strutture organiche, presupposto della vita. In realtà le sue conclusioni vennero accantonate fino all’aprile dell’anno scorso, quando un team di ricercatori svizzeri fece luce sul primo pianeta “terrestre” extraterrestre. Gliese 581 – è questo il nome con cui venne battezzato il sorprendente corpo celeste - è il più piccolo pianeta extrasolare scoperto sino ad ora. Secondo gli esperti si tratta di un pianeta roccioso analogo alla Terra (ma anche a Venere o Marte) con una superficie coperta da oceani e una temperatura media compresa fra 0 e 40 gradi centigradi. È quindi un pianeta che potrebbe benissimo ospitare la vita. “Questa prova definitivamente l’attendibilità della mia teoria – continua Drake - e che sicuramente ci sono altri pianeti simili alla Terra sparsi per la nostra galassia”. A rinforzare il parere di Drake c’è quello di Seth Shostak, anch’egli del SETI. Lo studioso ha compiuto calcoli analoghi a quelli del collega, integrandoli però con le previsioni sulle future capacità dei nostri computer e delle nostre tecnologie di scrutare il cosmo. Dalle sue ricerche Shostak ha quindi concluso che nella nostra galassia ci devono essere tra 10mila e un milione di sorgenti radio, pronte per essere captate dagli strumenti di nuova generazione che l’uomo sta mettendo in campo. “Ci sono 200 miliardi di stelle nella Via Lattea – racconta lo studioso – e almeno la metà di esse presenta dei pianeti. Ciò significa che ci sono almeno 100 miliardi di sistemi planetari in qualche modo riconducibili al nostro. Dunque partendo da questo presupposto, e immaginando una media di cinque pianeti per sistema solare, possiamo giustamente credere che ci possano essere almeno 500 miliardi di pianeti solo nella nostra piccola fetta di universo. Da qui aspettarsi che la vita sia una prerogativa della Terra è quantomeno ridicolo”. Ma per la conferma alle teorie degli uomini del SETI dobbiamo comunque attendere la fine dei test di Kepler. Il telescopio della Nasa passerà in rassegna almeno 100mila stelle e in quattro anni dovremmo già sapere quali di esse ospitano pianeti nelle cosiddette habitable zone, zone dove – per via di fattori come la temperatura e la pressione – la vita può essersi originata. A questo punto entreranno in gioco gli studiosi del SETI che “scannerizzeranno” ogni pianeta individuato dal telescopio americano, per ufficializzare (eventualmente) la presenza di forme di vita.
Un’ipotesi veritiera purché non si fissino date
“Non si può fare a meno di dare ragione agli studi condotti dal SETI – spiega Simone Zaggia, astronomo dell’Osservatorio Astronomico di Padova -. La scoperta della vita al di là del sistema solare potrebbe davvero essere dietro l’angolo. Certo non è possibile quantificare entro quale anno sarà possibile individuare materiale organico su un pianeta extrasolare, tuttavia una simile eventualità è assolutamente attendibile e veritiera. Con ciò si può affermare che, una nuova era per l’astronomia, sta per avere inizio. Ormai possediamo strumenti in grado di indagare correttamente al di là del sistema solare e di far luce non solo su stelle e galassie ma anche su corpi molto più piccoli come i pianeti extrasolari. Stiamo scoprendo le caratteristiche chimico-fisiche di atmosfere extrasolari distanti da noi anni luce e la densità di corpi ruotanti intorno ad astri che non siano il sole. Il primo pianeta extrasolare è stato individuato intorno alla stella 51 Pegasi nel 1995. Oggi siamo già a quota 200. Questo significa che il dato è destinato a crescere ulteriormente nei prossimi anni anche e soprattutto grazie al lavoro di Corot (satellite dell’Esa) e del telescopio Kepler della Nasa che inizierà a scandagliare l’universo dall’anno prossimo”.
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