martedì 13 maggio 2008
Gli animali ci insegnano a mascherarci
Ci sono farfalle caratterizzate da ali riportanti due grossi cerchi scuri simili agli occhi di un gufo. In questo modo tengono a debita distanza i predatori facendogli credere di essere animali molto più temibili di quello che in realtà sono. È solo uno dei tanti travestimenti utilizzati dagli animali per ingannare altre specie. Ecco perché molti scienziati sono convinti che nessuno sappia “mascherarsi” meglio degli animali. A ricordarci, dunque, che nessun uomo saprà mai travestirsi come un animale sa fare senza fatica è Fulvio Fraticelli, direttore del Bioparco di Roma. Il responsabile della struttura romana ci parla delle farfalle ma anche di molti altri animali come le mosche, i passeri, la lepre alpina, il mandrillo. Ci sono mosche appartenenti al gruppo tassonomico dei silfidi che da un punto di vista estetico solo molto simili alle vespe: anch’esse infatti presentano la tipica colorazione giallo-nera a strisce. Con questo stratagemma convincono i loro predatori di trovarsi davanti a un insetto in grado di pungere, e dal quale è bene stare alla larga. I passeri e le lepri alpine cambiano “vestito” in base alla stagione. “I maschi dei passeri presentano un bavaglino nero sotto la gola che indica il livello sociale - dice Fraticelli - le cui dimensioni dipendono dallo stato fisico e dalle condizioni di salute. Un modo per le femmine di distinguere il macho della situazione”. Durante l’inverno - lontani dal periodo riproduttivo - compaiono sui passeriformi delle piume grigie che nascondono il bavaglino. La lepre, invece, cambia colore per sfuggire agli artigli delle aquile. Nel corso della stagione fredda veste un livrea bianca candida, in estate un “vestito” completamente scuro. In entrambi i casi lo scopo è quello di mimetizzarsi con il suolo (coperto di neve in inverno e di vegetali in estate) e non dare nell’occhio. Il mandrillo è uno dei più caratteristici animali felici di travestirsi e ingannare altre specie. Il suo fondoschiena riproduce una tipica faccia, così da far credere a un avversario di essere sempre pronto all’attacco, da qualunque parte lo si guardi. “Mimetizzarsi, ossia apparire il più possibile simile a un ‘modello’ di riferimento porta grandi benefici sia ai singoli individui, che applicano tale strategia, sia alla specie più in generale – spiega Adriano Martinoli, zoologo dell’università dell’Insubria (Va) -. Tali meccanismi passano infatti il vaglio della selezione naturale che in qualche modo si fa indiretta garante, a parità di condizioni, della buona riuscita di tale strategia e quindi del suo mantenimento a lungo termine”. In realtà gli animali soggetti al cosiddetto fenomeno del mimetismo sono molti di più. Ci sono per esempio le sogliole, i pesci ago, vari serpenti, le cavallette, le zigene della filipendola, i bruchi, i cavallucci marini. Secondo gli scienziati esistono tre tipi di mimetismo: il criptico, il batesiano e il mulleriano. Nel primo caso l’animale assume colori o forme del substrato e diventa difficile da individuare; alcune specie cambiano colore del mantello nelle diverse stagioni, altre cambiano colori più volte secondo l’ambiente che incontrano (camaleonte). Nel secondo caso abbiamo invece a che vedere con una specie animale appetibile che si evolve in modo da assomigliare a una specie repellente o velenosa, ingannando il potenziale predatore. Infine nel terzo caso il riferimento è ad animali non appetibili anche di famiglie diverse che, vivendo in ambienti simili, assumono gli stessi colori o disegni, aumentando le probabilità che i predatori imparino a evitarle.
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