Kyoto o non Kyoto se si vuole davvero mettere freno all’effetto serra è necessario escogitare qualche nuovo espediente per far fronte al problema. A pensarla in questo modo sono molti scienziati, fra cui quelli della società australiana Ocean Nourishment Corporation (ONC). I ricercatori hanno da poco avanzato un’idea quantomeno bizzarra per ridurre l’anidride carbonica presente nell’atmosfera: intendono distribuire nei mari e negli oceani tonnellate di urea per nutrire il fitoplankton, microvegetali che - compiendo la fotosintesi e assorbendo fisiologicamente la CO2 – contrasterebbero al meglio il surriscaldamento globale. Il primo test sperimentale – effettuato impiegando una tonnellata di urea – è stato portato a compimento nel mare di Sulu, tra Borneo e Filippine. L’impresa è andata a buon fine e ora l’intenzione dei ricercatori australiani è quella di ripetersi anche nel 2008, non solo in Asia ma anche tra le acque dell’oceano Atlantico; a questo scopo gli esperti dell’ONC stanno già trattando con il governo filippino e quello marocchino. L’urea - sostanza contenuta nel sangue e nell’urina – verrebbe prodotta in grosse quantità a livello industriale nei laboratori del sud-est asiatico e dunque non ci sarebbero problemi di scarsa reperibilità del materiale. Ma c’è chi è assolutamente contrario a questa iniziativa, in quanto seriamente preoccupato degli effetti “collaterali” che un’eccezionale fertilizzazione dei mari potrebbe arrecare all’ambiente. “Pensiamo che possano verificarsi dei gravi problemi di natura ecologica e biologica – ammette Philip Boyd dell’Istituto Nazionale di acqua e atmosfera della Nuova Zelanda -. Per salvaguardare il pianeta, paradossalmente, potremmo finire col peggiorare le cose”. C’è anche chi pensa che dietro a questa iniziativa possa celarsi un’azione meramente commerciale, legata ad aziende interessate più al proprio tornaconto che alla salvaguardia dell’ambiente. Per tale motivo una coalizione di gruppi della società civile si è rivolta alla London Convention (Marine Dunping) – varata nel 1972 dalle Nazioni Unite per contrastare l’inquinamento dei mari – per bloccare sul nascere la proposta della ONC. “Il pericolo è che i nostri oceani vengano presi di mira da soluzioni di geoingegneria ad alto rischio su cui non è stata avviata alcuna valutazione interdisciplinare, né un intervento intergovernativo – ha detto Neth Dano del Third World Network malesiano. Mentre la relazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), nel maggio di questo anno, ha ufficialmente bocciato questo tipo di esperimenti, affermando che “le scelte di utilizzare la geoingegneria continuano ad essere altamente speculative e possono portare a effetti collaterali sconosciuti”. In ogni caso le aziende come la ONC fanno orecchie da mercante. E fra queste c’è anche la società Planktos Inc., avente sede a San Francisco e a Vancouver: l’azienda statunitense ha annunciato di voler scaricare nanoparticelle ferrose nello spazio oceanico a ridosso delle Isole Galapagos, sempre allo scopo di “ipernutrire” il fitoplankton e contrastare il surriscaldamento globale.
(Pubblicato sul mensile Rolling Stone)
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