sabato 10 maggio 2008

Il Pentagono rafforza l'esercito con sociologi e antropologi

Un progetto singolare, ma solo in apparenza, anche perché potrebbe seriamente contribuire a risparmiare vite umane e in generale a ridurre drasticamente le incomprensioni tra popoli. Ci riferiamo all’impiego di antropologi e sociologi in zone di guerra dove risiedono molti gruppi tribali, con i quali è spesso impossibile entrare in dialogo. Stando agli esponenti del Pentagono, che hanno in mano la situazione, gli scienziati sono abili nel leggere meglio di chiunque altro le dinamiche comportamentali, civili e sociali di chi vive in condizioni assolutamente differenti dalle nostre: un antropologo, per esempio, è in grado di comprendere quando una etnia è in combutta con un’altra e intuire le sue mosse; è in grado di capire se c’è qualche rischio reale (o solo presunto) per una carovana di soldati in movimento verso un particolare avamposto. Grazie a suggerimenti di questo tipo è dunque possibile prevedere e bloccare sul nascere potenziali tafferugli e quindi tutto ciò che ne potrebbe derivare, combattimenti più aspri, sequestri, esecuzioni sommarie. Migliorerebbe in generale il rendimento dei militari, inciterebbe la popolazione locale ad arruolarsi nei corpi di polizia, risolverebbe problemi legati alla povertà e alla fame. L’argomento è stato di recente affrontato sulle pagine del New York Times e si riferisce innanzitutto all’egregia evoluzione del primo test riguardante l’impiego di un antropologo sul campo. Ciò è avvenuto in Afghanistan a partire dal mese di febbraio 2007. Uno scienziato - esperto in costumi locali - è stato preso in custodia da soldati ubicati nella impervia Valle di Shabak in Afghanistan. I risultati sono stati più che incoraggianti. In particolare, sul tema “antropologi al servizio dell’esercito”, vale più di ogni altra cosa la dichiarazione formulata dal colonnello Martin Schweitzer, a capo di un reparto della 82sima divisione aerotrasportata: “Con l’arrivo degli scienziati i combattimenti locali hanno subito una riduzione del 60 percento – ha raccontato il comandante. Dunque sull’onda di simili risultati anche il segretario della Difesa Usa Robert Gates non si è fatto cogliere impreparato. È infatti intervenuto immediatamente sulla questione stanziando 40 milioni di dollari per l’ampliamento del programma: attualmente sono 26 le brigate da combattimento stanziate fra i Iraq e Afghanistan, e pertanto il fine del governo Usa sarà quello di attrezzare ognuna di esse con antropologi e sociologi. A questa innovativa scelta tattica si è arrivati dopo una serie di lamentele sollevate dai soldati Usa a partire dal 2003. Questi ultimi reclamavano il fatto di non capirsi minimamente con le realtà locali. Sicché è stata coinvolta nella discussione l’antropologa Montgomery McFate, dell’università di Yale, la quale ha prontamente parlato della seria possibilità di “antropolicizzare i soldati” e quindi di ridurre drasticamente gli incidenti. Un esempio dell’efficacia della proposta di McFate la si ha relativamente al successo ottenuto da un antropologo nella provincia di Paktia. Lo scienziato rendendosi conto dell’alto numero di vedove presenti in una determinata zona, e temendo l’arruolamento nella guerriglia di gran parte dei maschi rimasti (dove pagano molto bene), ha sviluppato un programma per la formazione professionale delle vedove; in questo modo ha strappato la popolazione locale dall’indigenza ed ha evitato ulteriori spargimenti di sangue. In pratica, leggendo vedove al posto di mogli, si tratta di una specie di guerra alla rovescia con l’appoggio delle donne, la “Lisistrata” di Aristotele in una versione inedita, moderna, ma forse altrettanto efficace. In ogni caso, come ogni proposta che si rispetti, anche qui i pareri contrari non sono mancati. Questi sono stati sollevati soprattutto da Hugh Gusterson, docente universitario dell’università della Virginia. Secondo questo scienziato una soluzione simile è solo una messa in scena per continuare imperterriti a far guerra di occupazione in paesi già pesantemente devastati. Altri hanno invece parlato di “antropologia mercenaria”, riferendosi alla messa in campo di un progetto teso esclusivamente a sfruttare a fini politici le scienze sociali.

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