giovedì 1 maggio 2008

Le bugie dell'abate Mendel

Non è tutto vero ciò che diceva Johann Gregor Mendel, il padre della ereditarietà. Secondo gli scienziati dell’università Purdue nell’Indiana (Usa) l’abate, nato in Austria nel 1822, modificò in alcuni casi i risultati dei suoi esperimenti, pur di far quadrare perfettamente le famose tre leggi sulla trasmissione dei cosiddetti ‘caratteri ereditari’. Gli statunitensi hanno verificato i loro dubbi sui lavori mendeliani attraverso lo studio di alcune piante di Arabidopsis, specie vegetale erbacea (detta anche ‘pelosella’), appartenente alla famiglia delle crocifere e che cresce spontaneamente in molte parti del mondo. Essi, partendo dal presupposto che la pianta spesso presenta una mutazione genetica che impedisce ai fiori di aprirsi, hanno constatato che le teorie di Mendel sono valide solo nel 90 percento dei casi, e non nel 100 percento dei casi come sosteneva il padre dell’ereditarietà. Il dato non è affatto trascurabile poiché, quando si parla di genetica, anche solo una minima percentuale relativa alla possibilità che un determinato ‘carattere’ possa esplicare la sua azione, può avere ripercussioni notevoli sulla salute e la qualità di un’intera popolazione, sia essa animale o vegetale. In particolare Robert Pruitt, genetista molecolare dell’università di Purdue, nell’Indiana ha dimostrato che se entrambi i genitori hanno due copie del gene mutante, chiamato hothead (testa calda), non è detto che l’abbiano per forza anche i rispettivi “discendenti”. Questo è ciò in cui credeva (o voleva far credere Mendel), ma di fatto Pruitt ha visto che nel 10 percento dei casi analizzati la prole ha il gene sano, ereditato evidentemente dai “nonni”, con i fiori normali. Secondo Pruitt “lo studio mette in crisi tutte le nostre convinzioni, e soprattutto dimostra che il meccanismo dell’ereditarietà è molto più flessibile di quanto si credesse in passato”. Con ciò il ricercatore dell’Indiana ha concluso dicendo che le leggi di Mendel studiate a scuola restano fondamentalmente corrette, ma che non sono sempre e comunque attendibili come l’abate austriaco voleva far sembrare.

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